Le fratture malleolari sono lesioni che si verificano di frequente sia nei giovani che negli anziani. Nelle persone giovani conseguono a traumi violenti, spesso durante l’attività sportiva o incidenti stradali, gli anziani invece possono riportare questo tipo di frattura anche in seguito a banali cadute in ambiente domestico, data la maggiore fragilità dell’osso. La frattura può interessare il malleolo esterno (epifisi distale del peroneo), o quello interno o tibiale. Naturalmente possibile è anche la frattura di entrambi, ma molto meno frequente e con un tempo di recupero più lungo e una terapia più complessa.
La diagnosi di una frattura del genere si effettua tramite una radiografia che consente non solo di verificare una frattura, ma anche di vedere come sono allineati i frammenti ossei e di capire dunque se è una frattura composta o scomposta. Fratture molto piccole o composte spesso non risultano da radiografie normali per cui potrebbero essere necessarie radiografie con proiezioni o immagini più approfondite come la TAC che evidenzia anche eventuali problemi di legamenti.
Per decidere il tipo di terapia, la distinzione più importante da fare è quella fra fratture composte e scomposte. Per le fratture scomposte, con dislocazione dei frammenti ossei, è indispensabile l’intervento chirurgico con l’applicazione di viti e placche come mezzi di fissazione. Le fratture composte invece possono essere trattate in maniera conservativa, con l’applicazione di un gesso che immobilizzi l’articolazione per almeno 30 giorni. Durante questo periodo sull’arto non deve essere dato del peso e devono essere eseguiti controlli periodici per accertarsi della normalità del decorso.
Una volta rimosso il gesso, in realtà il processo di guarigione non è terminato, e anzi prosegue per parecchi mesi dopo il trauma. L’osso stesso, anche avendo riconquistato la sua integrità, continua ad essere rimaneggiato. I tessuti molli, avendo subito anch’essi un trauma seguito da una forzata immobilità, avranno perso la loro elasticità e la caviglia potrà apparire ancora gonfia, rigida e dolorante. Non è il caso di scoraggiarsi, ma piuttosto di iniziare un ciclo adeguato di fisioterapia, che potrà ripristinare la funzionalità della caviglia nel più breve tempo possibile.
In un primo tempo potrà essere necessario utilizzare applicazioni di ghiaccio e un bendaggio compressivo per limitare il gonfiore. L’infiammazione e il dolore trarranno giovamento da sedute di tecar terapia e laser terapia. In seguito si eseguiranno esercizi di mobilizzazione passiva e attiva. Gli esercizi mirano al ripristino della mobilità articolare e della forza muscolare. Sono molto importanti anche gli esercizi che stimolano il recupero propriocettivo, da cui dipende l’equilibrio del corpo, presso il nostro studio si utilizza a tal fine, la Pedana visuo-propriocettiva Delos (basata sul metodo del Prof. Riva). Se il paziente è un atleta, professionista o dilettante, l’ultima fase del processo di guarigione riguarda il ritorno all’attività, che dovrà avvenire in maniera molto graduale per non stressare eccessivamente l’articolazione interessata e non rischiare nuovi incidenti.